Se solo fossimo alberi o fili d’erba…
In questa Domenica di fine ottobre vogliamo proporvi, tramite una riflessione su Pascoli e Munch, l’idea dell’uomo moderno che va sempre più perdendo il suo io interiore, in una folla di uomini senza volto.
Nei versi di Pascoli si scorge una capacità di andare ben oltre le apparenze e scoprire in maniera dettagliata e per ciò malinconica, le fragilità proprie dell’essere uomo su questa terra. Sarà il pometto intitolato la Vertigine un chiaro esempio di come l’uomo, secondo Pascoli, possa essere in bilico tra la salvezza e l’abisso.
Si racconta di un fanciullo che aveva
perduto il senso della gravità…
I
Uomini, se in voi guardo, il mio spavento
cresce nel cuore. Io senza voce e moto
voi vedo immersi nell’eterno vento;
voi vedo, fermi i brevi piedi al loto,
ai sassi, all’erbe dell’aerea terra,
abbandonarvi e pender giù nel vuoto.
Oh! voi non siete il bosco, che s’afferra
con le radici, e non si getta in aria
se d’altrettanto non va su, sotterra!
Oh! voi non siete il mare, cui contraria
regge una forza, un soffio che s’effonde,
laggiù, dal cielo, e che giammai non varia.
Eternamente il mar selvaggio l’onde
protende al cupo; e un alito incessante
piano al suo rauco rantolar risponde.
Ma voi… Chi ferma a voi quassù le piante?
Vero è che andate, gli occhi e il cuore stretti
a questa informe oscurità volante;
che fisso il mento a gli anelanti petti,
andate, ingombri dell’oblio che nega,
penduli, o voi che vi credete eretti!
Ma quando il capo e l’occhio vi si piega
giù per l’abisso in cui lontan lontano
in fondo in fondo è il luccichìo di Vega…?
Allora io, sempre, io l’una e l’altra mano
getto a una rupe, a un albero, a uno stelo,
a un filo d’erba, per l’orror del vano!
a un nulla, qui, per non cadere in cielo!
Gli spazi infiniti del cosmo stellato, non sono più tendenza al desiderio , ma le nozioni di geografia astronomica eliminano tutte le certezze positivistiche e generano un inquietante senso di smarrimento. Le certezze del positivismo ,dell’uomo che tramite la ratio riesce a dominare, vengono smantellate. L’uomo di testa in giù guarda spaesato e inquieto il susseguirsi di circostanze avverse e sente il peso di non avere un ruolo dominante nella storia , ma più tragicamente, scopre di non avere le possibilità di plasmare il proprio destino. E guarda gli altri uomini pavoneggiare nelle illusorie radici “o voi che vi credete eretti!” ma eretti non siamo e l’oblio fa già parte di noi.
Precipitate tutte le certezze, avendo acquisito tutte le condizioni che rendono l’uomo precario, la paura si unisce alla voglia di unirsi all’infinito, di farne parte. Fare parte dell’infinito racchiude la speranza di una salvezza divina, che rimane, però, solamente una aspirazione.
Munch esprime lo stesso senso di smarrimento in una opera che scandalizzò la critica del tempo, La madonna.
In primo piano appare la Madonna, nuda che esprime la lussuria e il piacere fisico, antitesi lampante e blasfema. Ma questa antitesi prende corpo e senso quando all’angolo appare uno scheletro di un bambino. Gesù bambino, scheletro. Non salvatore, non più, ma essere mostruoso e inquietante. La salvezza che poteva esserci, non c’è. In cornice troviamo piccoli spermatozoi che fluttuano nell’indefinito. L’essenza della vita umana che si sposta ai margini, perdendo la linfa vitale per dare spazio e centralità al piacere. Un piacere che ,come si nota dallo sfondo scuro, riesce ad essere parte del tentativo di fuga dalla realtà ,ma mantiene un senso di inquietudine, come i versi del Pascoli. Il piacere carnale non trova spazio nei versi di Pascoli, il suo bisogno di fuggire si dispiega nel bisogno malcelato di ritornare al mondo perduto del nido, di rifiutare la violenza e l’ingiustizia di cui è stato vittima, di desiderare il ritorno all’infanzia felice. La sua poesia trova senso nel semplice cantare. è pura, come il pensiero di un fanciullo. La poesia pura placa il senso di sopraffazione tipico dell’uomo che è stato privato del senso di fratellanza. Ma l’uomo rimane sempre essere isolato e questo lo Possiamo analizzare in un’altra opera di Munch , “Sera sul viale Karl Johan”. Camminiamo tra tanta gente e non facciamo altro che parlare, ma nessuno ci sente. Cerchiamo di essere simpatici, di essere adeguati, di partecipare a qualsiasi slancio vitalistico che ci propongono , ma siamo distanti e tutta questa farsa rimane nella testa e non nella pelle , come direbbe Gaber. Munch stesso esprimerà l’inquietudine nei suoi appunti “Camminavo lungo la strada con due amici quando il sole tramontò, il cielo si tinse all’improvviso di rosso sangue. Mi fermai, mi appoggiai stanco morto ad una palizzata. Sul fiordo nero-azzurro e sulla città c’erano sangue e lingue di fuoco. I miei amici continuavano a camminare e io tremavo ancora di paura … e sentivo che un grande urlo infinito pervadeva la natura.” Pascoli cercherà sempre di cercare la salvezza nella fratellanza , ma lungo il corso della sua vita questa speranza si sgretolerà continuamente . Lampante è l’episodio del matrimonio di sua sorella Ida nel 1895. Pascoli sentirà tutta la pesantezza dell’abbandono e seguirà un periodo di depressione intensa che lo accompagnerà fino alla morte. L’urlo o il grido di Munch esprime questo senso di smaterializzazione.
L’uomo non è uomo, ma figura molle. Sembra esser solo spirito, ma questo spirito non fa presagire nulla di positivo. L’urlo non è liberatorio. Niente ha stabilità, Nulla resta dritto . Restano diritti solo il ponte e le sagome dei due uomini sullo sfondo. I due uomini però, Rimangono impassibili all’urlo che proviene dall’anima dell’uomo. Quante volte urliamo senza che nessuno ci senta? Quante volte sentiamo gli altri urlare e passiamo oltre? Siamo uomini o figure molli? Quell’uomo è Munch stesso, siamo noi smarriti in questo inferno , ma senza Virgilio. Gli amici del pittore sono incuranti della sua angoscia. Anche l’amicizia e l’amore sono motivo di tormento. Da ricordare l’esperienza autobiografica e traumatica del suo matrimonio con una donna ossessiva che per difendersi dall’abbandono, sparò il pittore, portandolo alla perdita di un dito. Pascoli e Munch sono accomunati dalla paura di vivere un presente. Il paradosso dell’uomo che oscilla tra il superomismo e la tragedia di essere fragili, sarà una costante di tutti gli uomini di lettere del novecento che strariperà nella nostra coscienza egoistica e superficiale che chiuderà barriere, farà affondare barconi, metterà fili spinati, recinti, a bambini, uomini e donne che urleranno di aver bisogno d’aiuto, farà morire bambini, padri, madri con gas tossici.
Siamo bestie che cercano di diventare umani o umani che stanno diventando bestie?
Oh Munch, fammi urlare con te.
Allora io, sempre, io l’una e l’altra mano
getto a una rupe, a un albero, a uno stelo,
a un filo d’erba, per l’orror del vano!
a un nulla, qui, per non cadere in cielo!
Forse dovremmo diventare rupe, albero e stelo e far sì che nessuno possa cadere
scritto da: Antonietta Loviglio